testo critico per CERAMICI

 

 

“[...] Ma è solo dopo aver visto qualcosa, magari tanti anni fa, che sento il bisogno di parlare: la pelle lucida e umida di un albero giovane dove poi ci sono tutti buchi scuri, o il nero che sta dietro la casa e che viene invece davanti, o una figura che la luce gli distrugge tutto il volto ed ha delle ombre sottili che gli scorrono addosso come rigagnoli. Tutte queste cose le capisco bene. E quando ho visto questo, l’immagine viene dentro e prende la faccia di tutti quei sentimenti esaltati che ci agitano sempre, e prendono il senso della gioia esultante che vorremmo, o della nostra tenerezza ferita o dello scuro e fermo riposo ove vorremmo avere pace. E ora si tratta di trovare una forma uguale a questa immagine, una forma, un colore, una materia.” (Leoncillo, 1961)

 

Assemblare Colare Colorare Cuocere Decorare Dipingere Essiccare Estrudere Fabbricare Filettare Fissare Foggiare Fondere Graffire Impastare Incidere Intarsiare Lavorare Levigare Lisciare Modellare Plasmare Pressare Raffigurare Raffreddare Rivestire Rifinire Smaltare Stampare Tornire Vetrificare…

 

Allumina Avventurina Barbottina Biscotto Bucchero Caolino Celadon Charmotte Colombino Cristallina Degourdi Engobbio Faience Gres Lustro Maiolica Neriage Ossidi Porcellana Raku Refrattaria Sabbia Silice Smalto Ramina Quarzo Terracotta Terra sigillata Zaffera Piccolo fuoco Terzo fuoco Granfuoco…

 

Accardi Archipenko Baj Bertozzi&Casoni Boccioni Cagli Cerone Delvoye de Vries Di Maggio Fontana Gambone Gilardi Leoncillo El Lissitzky Maillol Malevich Marini Martini Matta Melotti Mirò Nagasawa Ontani Paladino Pessoli Picasso Pistoletto Ponti Rodin Schütte Simeti Smith Wildt Woodman Ai Wei Wei…

 

 

 

La fenomenale libertà di cui dispone Anna Aloisa Mileto nel creare i suoi oggetti è il frutto mirabile dello studio serrato della ceramica di ogni tempo e l’esercizio pratico instancabile al tavolo di lavoro. Il privilegio di appartenere ad una famiglia da cui ha derivato amore e confidenza con la ceramica, la sostiene in ogni suo gesto e in ciascuna delle sue scelte. Affrancata dalla costrizione, adopera con autonomia invidiabile il proprio libero arbitrio, preferendo di volta in volta forme, decorazioni e volumi eterogenei. Governa manualità e inventiva con temeraria precisione, sciorinando un catalogo infinito di forme, volumi, disegni, decori, colori e tecniche. In questo modo, coabitano agevolmente i coni in terracotta che danno corpo ai personaggi di un presepe, in cui l’argilla al naturale si sottomette al sontuoso decoro di particolari e panneggi su cui la patina in resina dell’Oriente invetria forma e colore, accanto a brani di astrazione iridata e integrale, Frammenti striati di rame e oro zecchino, quasi pietre dure in sezione, tormalina rubellite o opale di fuoco.

 

L’agglomerato urbano di Anna Bodini si affastella quieto nella volumetria infantile delle case di paese e nei colori caldi del mattone e della calce che mettono in scena un racconto vero come la realtà, poggiando senza tempo sul suolo della cantilena di una terra arcaica e mediterranea. Si tengono strette fra loro, le casette innocenti e incantevoli, riempiono una porzione di spazio astratto per custodire con devozione umanità e certezze, come in un dialogo amoroso che le difenda e le protegga dal corso così veloce e a volte rovinoso della Storia. Allora, qui, Anna allestisce il racconto appassionato e partecipe di un viaggio dell’anima e delle emozioni nel nostro Sud appassito e fragile, colpito e violato, ma che riemerge attraverso la ricerca del senso vero delle cose e dell’uomo. Legato saldamente alle sue origini e alla sua dimora, l’omino di argilla si concentra silenzioso nella lettura attenta del sogno della rinascita attraverso la cultura (Matera, esempio superbo di volontà terrestre unita a forza ideale).

 

 

La decisione tutt’altro che folle di Maria D’Alessandro di portarci fino sulla Via Lattea, tra gli astri, chiede il contrario dell’inerzia e dell’inattività. Mentre nell’universo le galassie più remote si allontanano a una velocità così elevata che la loro stessa luce non riesce a raggiungerci, noi girovaghiamo sicuri su queste navicelle che ci permettono di misurare la distanza fra la Terra e la Luna. Lo spessore cavo e vuoto delle “doppie pareti” dei vasi lucenti di Maria, ci invita ad entrare in un segreto immateriale conservato con cura come un gioiello. Assorti nell’astrazione siderale ma al contempo concreti, questi vasi cosmici rivelano una forma mentis razionale che sa scegliere la direzione per sottrarsi alla tirannia del tempo e diventare corpi celesti. Attraverso il moto perpetuo del tornio, Maria crea questa forma pregiata, tanto perfetta e naturale quanto astratta e simbolica, rivestita dalla trama sottile e preziosa dei filamenti iridescenti di oro e cristallo. Al suo centro, il cratere che custodisce il tempo e lo spazio e tutte le forme in mutazione, gli attraversamenti e le contaminazioni, le rivoluzioni e le nostre ansie.

 

 

Alessandra F. Borzacchini predilige la pittura e la scultura italiane del Novecento: la policromia terrosa delle tonalità quiete di Morandi, la campitura dei colori poetici e garbati di Campigli, la meraviglia di una sorpresa nascosta dei teatrini di Fontana e Melotti, i segni costruttivi dotati di autonomia statica di Ettore Colla, il “realismo magico” e meditativo di Casorati. Da questa figuratività emotiva, e dalle forme solide e dai colori caldi di Giotto, deriva il processo costruttivo deliberatamente antitecnologico e la forma primitiva del fare, con cui Alessandra compie gli oggetti. Il “lessico familiare” dei Condomini, dei Presepi e dei Crates Mediterranei, fa leva su desideri e ricordi veri e fantastici che rivendicano l’immaginazione. “Object-trouvé” rielaborati o produzioni originarie, le opere di Alessandra mettono alla prova i limiti tra pittura e scultura e tra astrattismo e figurazione, sempre insistendo sul lato giocoso e non ortodosso di un’esperienza emotiva. Un briciolo di tenerezza gioca a distrarre dal rigore, con passione e sentimento.

 

 

A Leonardo Gensini, compositore colto e raffinato e sperimentatore di suoni, comporre musica riesce bene anche sulla superfice in maiolica. Il segno sottile e nitido che indica i codici combinatori e la polifonia di ritmo e durata, diventa fascia sonora colorata di blu per l’incidenza dell’astrazione, mentre l’artista scrive partiture inequivocabili, disegno di un principio intellettuale universale. Le sue sequenze musicali sono pittografia strutturata, assoluta e aperta, che accoglie rumore e silenzio, armonia e dissonanza, in un progetto che prevede lo spazio come elemento compositivo. Cerchio e sfera, bidimensionalità e volume, danno forma a spartiti come campi d’azione, macchiati da note d’oro, spezzati da cunei e triangoli che creano silenzio in quella fusione sonora. Cerchio e sfera, pagine di scrittura immateriale, sono in grado di attribuirsi sembianze reali e farsi strumenti musicali, produttori di suono. Percossi, accarezzati, picchiettati dai gesti misurati e nobili dell’artista, sciolgono la riserva sul loro essere inerti e risuonano di vibrazioni profonde e perfette come le forme che le producono.

 

 

Edoardo Zamponi scende all’Inferno, dove il fuoco brucia la terra e le sue debolezze, e affonda le mani per trarne materia densa, ferrosa e solida, con cui costruire la forma. Non ha timore di lottare, ustionarsi, sfidare, piangere, sfiancarsi. “Delle cose visibili e invisibili gli Dei hanno conoscenza certa; ma agli uomini tocca procedere per indizi” (Alcmeone di Crotone) e proprio questi indizi, e inizi, cerca Edoardo quasi al centro della terra, lì dove abita l’origine che gli è necessaria per la sua opera. Solo così si entra in contatto con la materia e si è in grado di stabilire con essa comunicazione in vista della modificazione della forma. Edoardo rispetta l’espressività originaria della materia per farla coincidere con l’insieme delle possibilità formali ed estetiche che intende attribuirgli, e nel suo lavoro l’arte non è fenomeno puramente intellettuale o attività settoriale, ma esigenza primaria che si identifica con l’essenza stessa dell’agire umano.

 

Mi dice Edoardo, e lo ringrazio per questo: “È un lavoro comune, un aiuto reciproco tra materia e artista finalizzato all’espressione, non pura curiosità, gioco sperimentale. La materia ci viene incontro. Per anni ho soltanto dipinto, sentivo che nel quadro risolvevo tutti i problemi. Poi ho scoperto la creta. Oggi so che modellare una scultura con la creta non è così diverso dall’usare la pittura.”

 

 

 

Paola Pallotta, dicembre 2016

 

un ringraziamento ad Alessandra anche per i suggerimenti terminologici